Traditional Irish Session
"Cruinniù ar an tine"
(Radunarsi intorno al fuoco)

Il brano che segue rappresenta molto bene lo spirito che anima le Irish Sessions; il comune divertimento di musicisti e spettatori si basa sul rispetto reciproco, e sull'accogliente disponibilità dei più "esperti" nei confronti dei "nuovi"...

Tratto da: Mr. Fridge - L'Irlanda in autostop con un frigo di Tony Hawks

Eccetto la donna che serviva al banco, la clientela serale del Cooley era interamente maschile, e io ero di gran lunga il più giovane. A un'estremità del bancone, c'erano un tizio che suonava il banjo piuttosto bene e un chitarrista meno competente che cercava di accompagnarlo. Quando io e Tony entrammo, l'ubriaco del locale mi chiamò: "Ehi! Tony và a prendere la tua scatola". Su due piedi pensai che si trattasse di qualcuno che mi incitava ad andare a prendere il frigo, ma fu invece l'altro Tony a sparire in direzione dell'auto. Sorrisi ai presenti, desideroso di dare a intendere che sapessi cos'era una "scatola", e come mai fosse richiesta in una circostanza simile. L'ubriaco, facendo del suo meglio per focalizzare i suoi occhi iniettati di sangue su di me, poggiò una mano sulla mia spalla in gesto d'amicizia, che fortunatamente gli impedì anche di cadere. Spiegò inutilmente: "E' andato a prendere la sua scatola". Sì, pensai, e ci sono ottime possibilità che ci mettiamo pure questo tizio a fine serata. Tony tornò con una fisarmonica, e musicisti e strumenti si materializzarono dal nulla. L'ubriaco estrasse di tasca un paio di cucchiai e procedette all'accompagnamento con competenza e destrezza. Dopo la capacità di ordinare da bere, quella doveva essere l'ultima delle sue facoltà a spegnersi. Avevo sempre considerato i cucchiai come qualcosa che venisse suonato solo per far ridere, ma nelle mai giuste si trasformavano in un autentico strumento a percussione. Il quartetto diventò un quintetto quando Willy Daly (il proprietario del pub) fece la sua celere comparsa con un bodhran e si unì al gruppo. Doveva avere con sé un congegno che lo avvertiva dell'inizio di una sessione musicale. Ciò che accadde in seguito fu per me un grande spettacolo. Era musica tradizionale irlandese come avevo sperato di vederla e sentirla suonare, spontanea e venire dal cuore, non prodotta a beneficio dell'industria turistica. Sedendo in quel pub con il boccale in mano, senza perdermi una giga o un reel, osservavo la gioia sul volto dei suonatori e in quelli di chi stava intorno a battere i piedi e ad applaudire entusiasta. La musica strumento di gioia. Non era questione di essere pagati o di esibirsi per un certo lasso di tempo. Suonavano solo finché ne avevano voglia. Si trattava di espressione personale, non di esibizione. Qualcuno attaccava un pezzo, gli altri ascoltavano un paio di strofe e pian piano si inserivano, finché, al suo ultimo passaggio, il brano veniva eseguito da tutti con grande partecipazione. Tale consuetudine produceva una dinamica di crescendo naturale che poteva quasi essere orchestrata. Il suonatore di banjo veniva da fuori città, ma la sua bravura gli accordava un'ospitalità normalmente riservata a un figliuol prodigo. Possedeva un pancia incredibilmente gonfia che penzolava fuori dai pantaloni, sorretti da una cintura apparentemente incapace di sostenere lo sforzo. Si fosse rotto, il peso della pancia sarebbe stato distribuito in modo tale che l'uomo sarebbe sicuramente caduto faccia a terra. Troppa responsabilità per una cintura che mostrava segni di cedimento. L'uomo legò subito con Tony, riconoscendo in lui l'abile fisarmonicista che era, e i due si scambiarono sorrisi di reciproca ammirazione. Il chitarrista meno talentoso continuava a suonare, fornendo in eguale misura gli accordi giusti e quelli sbagliati. Nonostante a volte rovinasse il suono che gli altri producevano, nessuno lo ammoniva o lo guardava storto, anzi, veniva accolto come fosse il più bravo dei musicisti. Dopo un'ora circa, prese il via il canto solitario. In questo caso, ogni cantante chiudeva gli occhi e presentava il proprio pezzo a pubblico rispettoso che offriva il suo commento alle liriche alla fine del brano. Le canzoni venivano eseguite a turno, più o meno come i bevitori nei pub inglesi si alternano nelle barzellette. Alcuni aspettavano pazienti, ansiosi di mostrare il loro talento, altri invece bisognava persuaderli a cantare. E' interessante notare come questi ultimi fossero coloro che regalavano le esibizioni migliori, senza peraltro alcun cenno di competizione, e ogni cantante, bravo o scadente che fosse, veniva ampiamente rispettato. Mi cimentai a pensare a un brano da cantare nel caso mi fosse richiesto, ma fortunatamente non mi venne concesso l'onore. Escogitai qualche espediente da utilizzare in circostanze simili, mi piaceva quell'approccio al canto, occhi chiusi e cuore in gola. Sembrava uno stile su misura per gli ubriachi, ma Tony dimostrò che l'intossicazione non era essenziale, poiché il suo contributo, cioè l'esito di quattro bibite analcoliche, fu una delle esecuzioni più sentite e profonde della serata. Tony continuava a cantare, quando mi accompagnò a casa in auto. La canzone comprendeva la strofa: "Ho preso un autostoppista che era alto e bello", e per un momento pensai che si riferisse a me, ma ascoltando attentamente non notai alcuna menzione al frigo. Non ero ancora diventato una leggenda folk.

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